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Comunale |
26/02/1989 |
h.15.00 |
TORINO - LAZIO 4-3 (2-1) Torino: Lorieri, Benedetti, Gasperini, Catena, Rossi, Cravero, Bresciani (al 79' Ferretti), Fuser, Muller, Comi, Skoro (all'88' Landonio). A disposizione: Marchegiani, Edu, Menghini. All.: Sala. Lazio: Martina, Marino, Monti, Pin, Gregucci (al 78' Muro), Gutierrez, Dezotti, Icardi, Di Canio, Acerbis (al 78' Rizzolo), Sosa. A disposizione: Fiori, Piscedda, Beruatto. All.: Materazzi. Arbitro: Di Cola di Avezzano. Reti: Pin 13' (L), Rossi 19' (T), Cravero 25' rig (T), Skoro 46' (T), Sosa 50' (L), Aut.Skoro 54' (L), Muller 74' (T). Spettatori: 22.043 di cui 10.435 paganti e 11.608 abbonati. Note: Ammoniti Acerbis, Di Canio, Marino, Comi. Cronaca [Tratto da La Stampa del 27 febbraio 1989] E' finalmente venuta la vittoria. In questo dato, che porta conforto e speranza in una squadra che ancora traballa con le sue esili strutture nella burrasca, sta la buona novella di una partita in cui la ricerca del peggio sarebbe di gran lunga più agevole dell'elezione del meglio. La salvezza resta un traguardo lontano, appena abbozzato all'orizzonte. Ma a quel traguardo il Torino può adesso puntare con una fiducia in parte ripulita dalla paura d'essere caduto tanto in disgrazia presso gli dei del calcio d'averli indotti a beffarsi cinicamente di lui. Il successo, arrivi sulle ali d'un'aquila o su quelle di un passerotto, è la sola medicina che risollevi il morale. I granata, tra le file dei quali mancavano Ferri, Sabato, Brambati e Zago, hanno cominciato la sfida decisiva - e decisivo davvero era lo scontro con la Lazio, giacché non vincerlo avrebbe significato riconoscersi incapaci di proseguire nella lotta - esprimendosi con un gioco di tipo masochistico, nel senso che ogni passo di quella avventurata formazione sembrava dettato dalla volontà di autodistruggersi: un castigo tecnico-tattico inflitto a se stessi, uno spensierato viaggio verso il disastro. In nulla dissimile da un baraccone aperto a visitatori di ogni categoria, la difesa del Torino si produceva in uno sbalorditivo susseguirsi di "prego, si accomodi" che trasformava gli avversari, a secco di gol da non si sa più quanto, in un manipolo di irresistibili incursori. E la pena maggiore derivava dal fatto che quella avvilente disposizione a farsi suonare era sorella d'una totale mancanza di nerbo. II Toro disegnava l'immagine d'una squadra che accettato il proprio rovinoso destino vi si abbandonava guardandosi bene dal frugarsi dentro alla ricerca d'un pur esiguo desiderio di reazione. Dopo tredici minuti di quel nefasto stordimento difensivo, la Lazio, giunta al Comunale con le canne da fuoco gelate da una lunghissima astinenza goleadoristica, riusciva con Pin a infilzare Lorieri, la cui definizione di portiere è la mera conseguenza della sua ubicazione tra i pali di una porta, favorendo l'insorgere dei più cupi presentimenti. Presumiamo che tutti gli spettatori dello stadio fossero, in quel momento, visitati dall'idea che non per una sola rete ma chissà sotto quale pioggia di bastonate sarebbe deceduta la squinternata pattuglia di Sala. Non avevamo, però, ancora potuto constatare la qualità della retroguardia laziale. Vista e considerata la difesa del Torino era lecito domandarsi se mai, sulle terre del campionato, ne fosse esistita una più adatta ad essere ridotta a colabrodo. Ed era al contempo lecito rispondere che molto difficilmente gli orrori commessi potessero essere superati. Errore, fortunatissimo errore. La difesa laziale, composta di panna e ovatta, costituiva, alla prova del minimo urto, un consolatorio passaggio per disperati, un elisir per moribondi. Il Torino, senza accendersi di fuochi particolari, ma solo balenando qua e là per la grinta di Bresciani e Fuser, partiva per una visita in area bianco- celeste ed era subito il pareggio. Ammirato in estasi da Marino, Monti, Gregucci e Gutierrez, il granata Rossi si esibiva in una pregevolissima mezza rovesciata che nessun'altra assennata compagine gli avrebbe permesso, riallacciando così i contatti con la speranza. Qui dovevamo accorgerci che la Lazio oltre a possedere davanti a Martina un reparto di sonnambuli, presentava alla conoscenza del pubblico un settore attaccante la presunzione del quale riteniamo abbia pochi riscontri nel calcio europeo. Questi giocatori, da Dezzotti a Di Canio a Sosa, non perseguono l'obiettivo del gol. Essi cercano il bello assoluto che, dati i mezzi, non troveranno mal. Al cospetto della porta vuota si incapricciano di preziosismi che neppure il Santos di Pelé nei giorni di lusso di sarebbe permesso. Hanno l'occasione di ridurre Lorieri a un martire e ripetutamente lo graziano. E il Torino, al venticinquesimo minuto, al termine di un caos grandioso nelle retrovie della Lazio, pone Muller in condizione di segnare. Monti lo atterra ed è netto rigore. Cravero firma il rigenerante due a uno. Una finezza di Muller carica al quarantaseiesimo Skoro per il tre a uno. E' fatta? Macché. Nel giro di otto minuti, la squadra granata, che si batte in casa propria per la salvezza, offre il petto a una replica annichilente. Sosa e un'autorete di Skoro su punizione dello stesso Sosa ricompongono lo squarcio. Ma l'addio al sogno ha uno stop. Il colpo di un fuoriclasse, che non è un guerriero ma sa benissimo come si usano i piedi, strappa la sua squadra al dramma e la salva. Grazie, signor Muller, Torino. Claudio Sala a Muller: complimenti. |
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