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Delle Alpi |
12/02/1995 |
h.14.30 |
TORINO - LAZIO 2-0 (0-0) Torino: Pastine, Angloma, Sogliano (al 29' Lorenzini), Falcone, Pellegrini, Maltagliati, Marcao (al 59' Sinigaglia), Pessotto, Silenzi, Abedì Pelé, Cristallini. A disposizione: Simoni, Torrisi, Bernardini. All.: Sonetti. Lazio: Marchegiani, Negro, Favalli, Di Matteo, Cravero, Chamot, Casiraghi, Fuser (al 76' Venturin), Boksic, Winter (al 76' Bacci), Signori. A disposizione: Orsi, Bergodi, Di Vaio. All.: Zeman. Arbitro: Beschin di Padova. Reti: Abedì Pelé 52', Angloma 74'. Spettatori: 17.780 di cui 13.970 abbonati e 3.810 paganti per un incasso di 122.385.000 lire. Note: Nessun ammonito, Espulso Chamot. Cronaca [Tratto da La Stampa del 13 febbraio 1995] Dio, quanto ci teneva Nedo l'italianista. Sculacciare Zeman, rosolare la Lazio, mettere alla berlina la zona-champagne. Fatto. Il Toro vince rotondo e si issa, baldanzoso, all'ottavo posto. Due gol contro due legni, per un giorno la sorte corteggia Sonetti. Undici contro dieci, con la Lazio di mezzo non è una novità, è già successo sette volte. Ci pensa Chamot, sempre lui, alla terza espulsione in campionato, dopo Firenze e Cagliari. Non è questione di modulo, ma di testa e, soprattutto, di lingua: offende l'arbitro, non merita attenuanti. Il Toro non si formalizza e neppure si scapicolla. Aspetta. La Lazio gira in folle. E non solo dopo la mutilazione: anche, e soprattutto, prima. Zeman pecca d'audacia. Non richiama una punta per inserire un centrocampista. Il risultato gli dà torto, il palo di Fuser (sullo 0-0) e la traversa di Signori (sull'I-0) gli forniscono fragili alibi. Ci fosse stato Rizzitelli, probabilmente il Toro avrebbe dilagato. Ma c'ò Marcao, e allora tanto vale dedicarsi a un ragionevole mordi e fuggi. L'arena deserta, il terreno sabbioso, l'effetto Marassi, tutto contribuisce a immalinconire il pomeriggio. Sembra, la Lazio, un ingranaggio arrugginito. Squalificato Rambaudi, Boksic e Signori affiancano e puntellano Casiraghi. Sonetti dedica loro il fior fiore della sua fanteria: Pellegrini libero, Falcone sul croato, Maltagliati sul bisonte, Sogliano (e poi Lorenzini) sul capitano. Angioma pompa a destra, nel settore di Winter. Pessotto tiene d'occhio Di Matteo, Cristallini si dedica a Fuser. Marcao, Silenzi e Pelé si avventano, a turno, nella burrosa zona laziale che, da destra a sinistra, presenta Negro, Cravero, Chamot e Fa valli. Lo spettacolo è modesto. All'uscita di Chamot, Zeman rimedia non già sciogliendo il tridente, ma retrocedendo Fuser e accentrando Negro. Il 4-3-3 di base si trasforma, così, in un temerario 4-2-3. Se la svolta della sfida è la superiorità numerica, la chiave è Angioma. Strada fa- cendo, il francese diventa l'uomo in più, l'uomo ovunque. Difensore, centrocampista, attaccante. Tutto. Winter lo perde di vista, preoccupato com'è a soccorrere compari più in ambasce di lui. Angioma ne approfitta. Serve a Pelé la palla del gol rompighiaccio e sigla di persona, alla grande, quello della sicurezza. La Lazio balla in mezzo. Pessotto e Cristallini sono formiche inesauribili. Il Toro si sporge il minimo indispensabile. Lascia che siano le cicale di Zeman - in dieci, per giunta - a fare la partita. Il massimo della goduria. Casiraghi si esaurisce in un'incornata vecchio stile, Signori è un fascio di nervi, Boksic, il più agguerrito, elemosina munizioni. L'ultimo quarto d'ora del primo tempo, però, è tutto degli zemaniani: sciabolata di Di Matteo intercettata sulla linea da Marcao, palo clamoroso, e fragoroso, di Fuser. Alla ripresa, in compenso, il Toro spedisce subito l'avversario al tappeto. L'azione Pessotto-Angloma-Peléè folgorante. La Lazio potrebbe essere travolta in contropiede. Silenzi e Pelé stuzzicano Marchegiani. Di Matteo e Winter rischiano l'asfissia. Ogni volta che da destra irrompe nel cuore dell'area, Angioma sradica Favalli e crea formidabili corridoi. Sonetti non è nato ieri. Fuori Marcao e dentro Sinigaglia: c'è un nido da proteggere e un gruzzolo da conservare. I laziali arrancano. Suonati da Materazzi prima dello stop e da Calieri subito dopo. La dura legge dell'ex. Corretto e scaltro, il Toro giustifica il sorriso degli dei. Signori spolvera la traversa in pieno assedio, con Pastine attonito. Zeman sposta Boksic al centro e ricicla Casiraghi prima a sinistra e poi a destra. I granatieri adeguano, di volta in volta, le marcature. Il raddoppio è una chicca balistica di Angioma, sulla quale Di Matteo rivendica una deviazione così sofisticata che a noi, franca¬ mente, è sfuggita. La doppia staffetta fra Fuser-Winter e Venturin-Bacci non lascia tracce. Sarà anche vero, come blaterano gli scienziati, che giocare in dieci è meglio, ma noi apparteniamo al polo di Sonetti: è meglio, sì, ma per chi resta in undici. La Lazio incassa, così, la sesta sconfitta globale, la seconda di fila, la quinta nelle ultime nove partite, e precipita a meno undici dalla Juve. Addio scudetto. Da parte sua, il Toro incrementa una classifica già di per sé lusinghiera. Pelé, Angloma: il Nero muove e dà scacco matto. |
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