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Delle Alpi |
10/12/1995 |
h.14.30 |
TORINO - PIACENZA 4-2 (2-0) Torino: Caniato, Falcone, Dal Canto, Angloma, Maltagliati, Cravero (al 61' Bernardini), Cristallini, Milanese, Rizzitelli, Abedì Pelé, Karic (al 77' Minaudo). A disposizione: Doardo, Longo, Dionigi. All.: Scoglio. Piacenza: Taibi, Conte, Lorenzini, Di Francesco, Maccoppi, Lucci, Moretti, Carbone (al 23' Trapella - al 46' Turrini), Caccia, Corini (al 65' Cappellini), Piovani. A disposizione: Simoni, Rossini. All.: Cagni. Arbitro: Collina di Viareggio. Reti: Rizzitelli 33', 45' (T), Caccia 60', 90' (P), Abedì Pelé 79' (T), Bernardini 84' (T). Spettatori: 16.773 di cui 13.723 abbonati e 3.050 paganti per un incasso di 98.675.000 lire. Note: Ammoniti Conte, Cristallini, Angloma e Piovani. Cronaca [Tratto da La Stampa del 11 dicembre 1995] Quando bastano cinque giorni per costruire dal niente una squadra si può pensare che sotto il niente ci fosse qualcosa e bastasse scavare un po' per tirarlo fuori. Oppure che qualcuno si fosse demotivato troppo in fretta. Con pala e piccone. Scoglio ha provocato la metamorfosi dei granata nella domenica che ha seguito il derby: ne ha estratto il carattere, gli ha restituito la serenità e ha coperto con un paio di mosse le carenze dell'organico, come sabbia gettata in una buca. Ciò che ne ha ottenuto non è il Toro evocato in Maratona con uno striscione nostalgico e di denuncia ("Radice e undici granata contro tutti: non siete degni di vestire la stessa maglia, vergogna"). Inutile illudersi. Sono tempi lontani. C'era altra qualità prima che altro cuore. Tuttavia il Torello del Professore è tornato all'onore del mondo. Ha offerto uno spettacolo, mentre la squadra sonettiana stimolava soltanto i rimpianti. E ha dimostrato che può fare senza troppo affanno la corsa verso una classifica tranquilla. La differenza di materiale rispetto al Piacenza, che è un rivale diretto per la salvezza, ci è apparsa nitida quanto le dimensioni del successo: 4-2, con un solo momento di crisi, nella prima metà della ripresa, quando gli emiliani, accorciate le distanze con Caccia, hanno messo sul campo la migliore tenuta atletica e un buon fraseggio. Il Toro è andato in affanno. Scoglio nelle prossime settimane dovrà lavorare molto sulla resistenza, perchè c'è gente che ha nelle gambe un'ora e non di più. Intuito il pericolo, il Professore ha ragionato con una logica consumata: ha tolto una punta, Karic, per inserire un centrocampista. Nella sostituzione si è sbagliato confondendo Bernardini, più offensivo, con Minaudo (che in effetti sarebbe stato il più indicato), però era la sua domenica fortunata: poco dopo Pelé ha segnato il 3-1, su un magnifico contropiede, il match è tornato in discesa e proprio Bernardini ha realizzato la quarta rete. L'apoteosi. La riappacificazione con un popolo ferito dal 5-0 con la Juve. Un Toro diverso, insomma. Nello spirito e nell'assetto tattico. Scoglio, che fu un precursore della difesa a cinque, ha stravolto l'assetto difensivo di Sonetti. Cravero restituito al campo come libero, due laterali marcatori (Falcone e Dal Canto), con Maltagliati, piuttosto incerto, in mezzo. La grande novità si è vista tuttavia in mezzo al campo, dove il Toro si era dimostrato più fragile. L'invenzione di Angloma alla Desailly, cioè piazzato centralmente davanti alla difesa, ha dato solidità al reparto. Il francese è stato il punto più arretrato di un rombo i cui vertici erano Cristallini, Milanese e, in avanti, Pelé. Si &egarve; vista un'organizzazione di gioco. Angloma ha funzionato da regista arretrato, rompendo le iniziative emiliane e rilanciando l'azione: non è euclideo come poteva esserlo Pecci, però ha dinamismo e forza fisica. Pelé, assistito da compagni che lavorano anche per lui, ha potuto dedicarsi soltanto all'attacco. E gli effetti si sono visti. Piano piano il Toro si è sciolto dai propri complessi. Rizzitelli e Pelé, gli uomini di classe, hanno rotto il cellophane che li teneva imbalsamati. Il Piacenza non è un avversario sontuoso, merita la classifica che ha. Soprattutto nel primo tempo è sembrato leggerino, senza peso a centrocampo benché lo infoltissero in molti. L'uscita di Carbone ha reso orfani Corini e gli altri scriccioli, per tutto il primo tempo l'unico pericolo l'ha costituito Caccia, lasciato comunque troppo solo. E il Toro, dopo essere passato in vantaggio su un rigore incontestabile (trattenuta di Trapella su Pelé, smarcato in area da Rizzitelli), ha preso coraggio. Si è trasformato. Non è una macchina formidabile, ma non &efgrave; nemmeno la panna cotta inconsistente delle scorse settimane. In una partita ha realizzato metà dei gol segnati nelle tredici giornate precedenti, ha creato altre quattro azioni pericolose: cose proibite fino ad ora. Resta da vedere se la metamorfosi è un fuoco fatuo, una reazione ai cambiamenti premiata dalla modestia piacentina. Ma il segnale è stato forte. Tanto da farci credere a una svolta. |
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